Il mio paese
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- Categoria: Poesie
- Pubblicato Giovedì, 29 Gennaio 2015 12:30
- Scritto da Luigi Gioia (Amministratore)
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IL MIO PAESE
Avvolto in una fetida atmosfèra
inerte, come invalido in pensione
eppur padrone d'una petroliera,
puzzo soltanto resta e delusione
del pingue serbatoio d'oro nero
che sfrutta, invece, un grosso forestiero.
I figli tuoi migliori se ne vanno
altrove in cerca d'una pia fortuna
che fra le mura tue trovar non sanno.
Chiudon le case tutte, ad una ad una,
un tempo pien di vita ed affollate,
e solo alcune s'aprono d'estate.
Non ferve l'opra più degli artigiani,
delle massaie sempre indaffarate,
dei contadin, degli altri terrazzani;
le vie, le piazze sono desolate;
i bimbi non vi sciamano a giocare,
son troppo grandi per poterlo fare.
L'allegra "romanella" dell'incudine,
che un dì facéa da sveglia mattutina,
non odo più. Che triste solitudine!
Nelle botteghe, all'ora serotina
un tempo amico luogo di convegno,
sì scorge più di vita nessun segno.
E dove sono i tipici organetti
coi quali baldanzosi zerbinotti
suonavano virtuosi motivetti,
piumati a fèsta, come passerotti?
finite son perfin le serenate
gradito omaggio dalle innammorate.
Ed il folcrore? i balli, il carnevale,
quaresima con le pignatte rotte,
la banda in chiesa col cerimoniale
delle funzioni tipiche di notte,
il sacro rito delle quarantore,
"Piaghe sacrate del caro Signore"
cantato in coro. Sorde ed indolenti
son diventate pure le campane;
non più i caratteristici concenti
allietano il mio core. Non rimane
alcuna tradizione; che peccato;
che male ricordare quel passato!
Non ti conosco più mio bel paese,
mi resta viver di reminiscenza;
forse sarò un romantico borghese,
non so dimenticar l'adolescenza
trascorsa nel tuo seno. Luogo amico
io t'amo sempre pur se sono antico
e fra gli antichi vado in cimitero
e vago fra gli avelli...e i nomi leggo
di quei che furon. Lungi va il pensiero
e nella mente tumultuosa veggo
parenti, cari amici, conoscenti
più numerosi là che fra i viventi.
Di molti la memoria è ormai perduta;
dimenticati come, fatalmente,
saremo noi ché la spoglia muta
sarà dissolta inesorabilmente!
Rimiro compiaciuto allora il posto
dove l'immoto corpo mio deposto
verrà, che muto attende l'ora mia
scoccare; l'ora della transizione
da questo mondo, tutto ipocrisia,
in quello eterno della redenzione.
Oh! se il morire è andar fra la mia gente,
lo giuro: - di morir m'importa niente! -
Ubaldo Gioia 1971
(il dì del lunedì in Albis)