A Domenico

                              
 Hai passato una vita a lavorare
e nel paese a cui ti eri unito
dedicavi ogni anno il tuo sudare
per la festa nel giorno di San Vito.
Ti ricordo con còppola e giaccone
tornare al Casale dalla campagna,
per me bambina sempre cose buone:
mandorle, noci oppur qualche castagna
che dalle tasche tue oppur dal petto,
e parmi ancor gustare quel sapore,
traevi e mi donavi con affetto
quasi i doni sgorgassero dal cuore.
Quest’anno il Santo, uscendo dalla chiesa,
guardando intorno invano t’ha cercato;
le campane suonavano a distesa,
qualcuno ha detto: Ming s’ è ammalàto !
Vito è restato male e a tal sentire
ha comandato che la processione,
per un saluto prima di morire,
si fermasse lì sotto il tuo balcone,
che la banda suonasse un motivetto,
una canzone allegra, molto bella,
che giungesse da lì fino al tuo letto.
Vito non scorda il caro “Mancinella”!
La campana cambia oggi la sua voce
e suona la ben nota “Anemasciùta”,
annuncia triste a tutta Santacroce
che un’altra luce accesa qua “ se stuta”.
Sull’altare San Vito ha l’aria mesta,
San Sebastiano e Sant’Antonio accanto
ricordano il lor “Mastro di festa”
pensando di poterlo fare Santo. 
Dal paese l’addìo non hai voluto
ed in sordina sei giunto al cimitero
senza rumore, così come hai vissuto
te ne sei andato sì da uomo vero,
sapendo che lassù, “nell’altro sito”,
c’è Qualcuno che te fraternamente
accoglierà. Del martire San Vito
sarai ”Mastro di festa” eternamente.
 
                           Marianita Gioia 
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