scuola & università

-prima puntata-

Scelta della facoltà

Ogni giovane sa benissimo che non può scegliere il proprio corso di laurea in base ad un criterio  basato su possibili futuri sbocchi al lavoro che questo può dare, poiché le situazioni cambiano velocemente e ciò che oggi può apparire conveniente, domani potrebbe non esserlo; figuriamoci azzardare previsioni per gli anni a venire: quelli in cui  conseguirà  il titolo.

Se poi aggiungiamo le riforme con le quali i nostri “mammasantissima”, dopo anni di abbandono e di ignàvia, dopo chilometriche discussioni su concetti saturi di obsolescenza e presunzione, hanno creduto di colmare più che le buche, i crateri formatisi nella scuola, le cose si complicano ulteriormente.

Questi individui, di solito fossilizzati da una formazione teorica e, troppo spesso, privi della più pallida esperienza campale, né specifica né generica, in prevalenza giunti alla meta attraverso "percorsi facilitati" e non "accidentati"come quelli che la stragrande maggioranza deve affrontare, si sono rivelati i meno indicati per apportare modifiche correttive, tantomeno sostanziali, al sistema scolastico.

Gli stessi ad essere in disaccordo con quanti, da qualche decennio, sostenevano che la scarsa formazione dei nostri studenti, particolarmente in alcune discipline, ci stava facendo perdere il passo rispetto ad altre nazioni non più di tanto progredite ed emancipate, ma molto più accorte nel prevedere, valutare e porre adeguati adattamenti  alla continua metamorfosi della società ed alle esigenze di mercato.

I nostri "soloni", infatti, si affannavano a dimostrare l’esatto contrario:

− Non abbiamo nulla da invidiare agli altri sotto l'aspetto, culturale, scientifico, tecnico ! −

Ora, sull’aspetto culturale umanistico magari anche nulla da obiettare, ma su quello scientifico e su quello tecnico, qualche dubbio poteva sorgere !

La strada maestra per  il nostro sviluppo economico, secondo loro, c’imponeva più che una crescita qualitativa, una crescita  numerica di laureati.

Ne avevamo pochi rispetto agli altri Paesi industrializzati.

In quanto a ricerca, sviluppo e innovazione, avari nell'elargire i relativi fondi di sostegno, per troppi anni eravamo vissuti di rendita: quella lasciataci dai nostri predecessori, sulla cui scìa non si poteva certamente avanzare per inerzia all’infinito.

Ciò significava  che avevamo  carenza di “teste pensanti” e che, una volta  esaurite  quelle delle passate generazioni , occorreva il  rimpiazzo.

Il concetto che la quantità aumenta le probabilità di reperire la qualità, può anche essere condivisibile,

ma sostenerlo e metterlo in pratica comporta: programmazione, capacità, idee chiare e soprattutto costi.

Poi altri slogan, altre sentenze:

– Il progresso tecnologico richiede specialisti , per cui occorre un radicale cambiamento di rotta nel campo dell'istruzione ! –

e ancora:

– È ormai impossibile ai giovani trovare un impiego se sprovvisti di laurea ! – 

Quindi tutti proiettati a conseguirene una !

E le università sono nate come funghi , anche per "sistemare" personaggi legati a questo o quel partito politico.

Benissimo ! Nel nome di un diritto costituzionale era giusto che tutti avessero la possibilità di studiare e non soltanto quelli che economicamente se lo potevano permettere.

Ma con le università, sono aumentate a dismisura le facoltà, molte delle quali doppioni di altre ed altre ancora dai nomi più fantasiosi e di dubbia utilità, altre senza un preciso sbocco occupazionale: nate per attività future ancora inesistenti !

Inoltre, azzerando i vecchi diplomi considerati ormai insufficienti, sono stati istituiti i corsi triennali, le cosiddette “minilauree” che hanno creato  scompiglio e conflitto con quelle tradizionali cosiddette “magistrali”, perché considerate "una via di mezzo" cioè "né pesce né carne".

Siamo andati avanti per un po’, finché ci si è resi conto che le università, per funzionare, hanno bisogno di fondi, fondi sempre più insufficienti e che i successivi tagli hanno reso irreperibili.

E, a quanto pare, anche la tanto "strombazzata" collaborazione che doveva nascere fra industria e università, sembra essere mai decollata.

Qui casca l’asino !  I soliti conti fatti senza l'oste.

Come è finita?

è finita che i soliti "soloni" hanno aggiustato il tiro sparando nella direzione opposta:

– Troppe università !  Non è possibile averne una per ogni campanile ! – 

oppure :  

– In quanto a preparazione le nostre università sono agli ultimi posti ! – 

colpa dei “bamboccioni” che non vogliono staccarsi dalle famiglie ?

...ingrati questi "bamboccioni" ! Con tutti i soldi che lo Stato spende per mantenerli all’università !

(continua)

 

 

 

 

 

 

 

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